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Prunus avium L., Prunus cerasus L.
Famiglia Rosaceae
Il genere Prunus L. appartiene alla sottofamiglia Prunoideae (= Drupaceae), caratterizzate dal frutto a drupa contenente un solo seme, che deriva da un singolo carpello. Comprende un altissimo numero di specie (circa 430), sia decidue che sempreverdi, diffuse in tutti i continenti dell'Emisfero Boreale.
Molte di esse sono coltivate per il frutto edule (ciliegio, pesco, albicocco, susino ecc.), solo alcune per il seme (mandorlo).
Si tratta generalmente di specie che vivono in ambienti forestali o semiforestali aperti e disturbati, che si inseriscono nelle fasi pioniere della dinamica vegetazionale. E' proprio per questa ecologia "precaria" che iPrunus risultano ottimamente preadattati alla coltivazione.
La diffusione ornitocora, favorita dai frutti carnosi con semi di grandi dimensioni, consente loro di utilizzare con efficienza e rapidità nicchie ecologiche temporaneamente libere, ma per lo stesso motivo molte specie sono risultate attrattive anche per l'uomo. Una volta introdotte in coltivazione, la selezione è stata facilmente diretta in modo da migliorare le caratteristiche già positive (Sauer, 1993).
Tra tutte le specie del generePrunus , almeno due vengono denominate col nome generico di "ciliegio" e coltivate in Europa per il frutto edule: il ciliegio dolce (Prunus avium L.) e il ciliegio acido(Prunus cerasus L.) . Secondo gran parte degli Autori moderni (ad es. Heywood e Zohary, 1995), anche il ciliegio arbustivo(Prunus fruticosa Pallas) sarebbe implicato nella genesi dei ciliegi coltivati, sebbene non sia utilizzato come specie da frutto.
Quasi tutti i botanici ritengono che il ciliegio dolce sia una specie del tutto spontanea in Europa, dove sarebbe giunta nel tardo Glaciale per diffusione spontanea dai rifugi pontico-caucasici. Anche il ciliegio arbustivo è una specie del tutto spontanea, diffusa nelle regioni subaride a impronta pannonico-steppica dell'Europa centro-orientale. Al contrario, sulla genesi del ciliegio acido non c'è piena sintonia tra gli Autori, che sono comunque d'accordo nel considerarlo di origine pontica. La sua presenza in Europa è legata all'introduzione da parte dell'uomo e, probabilmente, la sua origine è ibridogena.
Prunus avium L. (= Cerasus avium Moench) Ciliegio dolce. Albero alto fino a 20 m, con tronco eretto, legno odoroso, corteccia liscia e lucida, con lenticelle trasversali; talvolta lo strato più superficiale è distaccato e lacerato in nastri che si arrotolano. Dalle ferite si formano secrezioni di resina gommosa.
Foglie oblanceolate od ovate (6-12 x 10-15 cm), dentellate, verdi scure di sopra e più chiare di sotto; picciolo lungo 2-4 cm, lateralmente con grosse ghiandole rosse. Fiori a 2-3 in ombrella povera, su peduncoli di 3-5 cm; petali bianchi di 1-1,5 cm. Frutti a drupa, rosso scuri, 1-3 cm. Diploide (2n = 16).
La pianta selvatica è indicata come var. avium, mentre quelle coltivate si suddividono sulla base dei frutti, a polpa molle(var. juliana L.) o a polpa dura (var. duracina L.).
Il ciliegio selvatico ha frutti di piccole dimensioni con piccoli noccioli, molto bene adattati alla dispersione ad opera degli uccelli frugivori. Dal punto di vista riproduttivo, le forme selvatiche sono interfertili con quelle coltivate, ma le singole cultivar risultano quasi sempre autosterili e richiedono quindi l'impollinazione incrociata con altre cultivar.
Il ciliegio comune è considerato una specie di origine pontica.
Tuttavia, la sua spontaneità nei boschi di latifoglie di gran parte d'Europa, dall'Atlantico fino alla Russia, viene raramente messa in dubbio; è inoltre presente in Turchia e nelle repubbliche transcaucasiche e nell'Asia Minore fino all'Iran ed è naturalizzato nell'America settentrionale. E' spontaneo nei boschi di tutte le regioni italiane, con la sola eccezione della Sicilia, dove è solo coltivato (Pignatti, 1982). Ha temperamento mesofilo e predilige i suoli tendenzialmente acidi.
Prunus cerasus L.(= Cerasus vulgaris Miller; Cerasus caproniana Lam. et DC.) Ciliegio acido, amarena, marasca. Alberello alto fino a 10 metri, ma spesso ridotto a cespuglio, che si propaga con polloni radicali; corteccia glabra, rossiccia. Foglie a lamina ovata o lanceolata (3-7 x 6-12 cm), dentellata, con picciolo solitamente privo di ghiandole. Fiori a 2-4 in ombrelle povere, portati da peduncoli di 2-4 cm, con petali bianchi, obovati o subrotondi di circa 1 cm. Frutti a drupa di forma sferoidale, rossi scuri o chiari, di circa 1 cm. Tetraploide (2n = 32).
E' un elemento pontico, ampiamente coltivato nei Balcani e, meno diffusamente, in altre zone del centro e occidente europei, dove può trovarsi naturalizzato. E' presente in tutta Italia, ma quasi certamente solo come pianta introdotta. Pignatti (1982) ritiene probabile una derivazione diretta da Prunus fruticosa Pallas, anch'esso tetraploide, mentre la maggioranza degli Autori, tra cui Heywood e Zohary (1995) e Sauer (1993), propendono per un'origine ibridogena traPrunus avium e Prunus fruticosa , probabilmente per fertilizzazione del secondo (tetraploide) con un anomalo granulo pollinico diploide del primo. E' pianta generalmente autofertile, a differenza del ciliegio dolce, che richiede invece impollinazione incrociata; gli esemplari coltivati di ciliegio acido sono quindi in grado di diffondersi facilmente per seme anche negli ambienti seminaturali.
Anche nel ciliegio acido vengono distinte due sottospecie (Erhardt et al., 2002), una delle quali comprende almeno due varietà:
subsp. acida (Dumort.) Ascherson et Graebner: ciliegio acido arbustivo. E' la forma selvatica o, molto più probabilmente, inselvatichita nell'Europa centrale, a portamento arbustivo.
subsp. cerasus: comprende le forme coltivate di ciliegio acido. Coltivato in Europa, Asia e America settentrionale, naturalizzato in Europa e Nord America. Si può ulteriormente suddividere in alcune varietà:
Prunus fruticosa Pallas (= Prunus cerasus L. var. pumila L.) Ciliegio cespuglioso. Arbusto alto fino a 1-2 metri, con fusti stoloniferi, non spinescenti. Foglie lucide, glabre, dentellate, dimorfe: quelle dei polloni oblanceolate (3-5 cm), acute, quelle dei rami fioriferi da ellittiche a obovate (2-3 cm), con apice ottuso o arrotondato. Fiori a 2-5 su peduncoli di 1-3 cm, con petali bianchi (5-7 mm). Frutti a drupa, ovoidi, 6-9 mm, neri o rossi, fortemente acidi. Tetraploide (2n = 32).
E' una pianta colonizzatrice delle steppe e dei pendii aridi, capace di diffondersi rapidamente grazie a polloni radicali. E' diffusa soprattutto nell'Europa centro-orientale, dalla Germania alla Russia, e inoltre nei Balcani, nel Caucaso, in Turchia, nell'Asia centrale e nella Siberia occidentale. La distribuzione in Italia è poco nota e poco compresa: le uniche popolazioni la cui presenza è stata recentemente accertata sono quelle dei bassi Lessini tra Verona e la valle del Chiampo (Gambellara - VI), mentre non hanno ricevuto conferma le segnalazioni per Susegana (TV) e per il Primiero (TN). La netta disgiunzione delle stazioni venete rispetto all'areale principale pannonico e la coincidenza con aree a tradizionale vocazione cerasicola può far sospettare che si tratti di discendenti di esemplari inselvatichiti, magari utilizzati come portainnesto. Le piante vivono nei cespuglieti di risulta, spesso coincidenti con accumuli di materiale litoide derivato dallo spietramento di vigneti e frutteti.
Oltre a queste specie principali, sono considerati commestibili (Erhardt et al., 2002) anche i frutti di altre specie: il ciliegio canino (Prunus mahaleb L.), diffuso in tutta Europa ad eccezione delle Isole Britanniche, della Scandinavia e della Russia centro-settentrionale, in Asia centro-occidentale e in Marocco e utilizzato come portainnesto sia del ciliegio dolce che del ciliegio acido; il ciliegio a grappoli(Prunus padus L.) , specie boreale ad ampia diffusione eurasiatica (dall'Europa fino al Giappone e in Marocco); il ciliegio di Nanchino (Prunus pseudocerasus Lindl.) della Cina; il ciliegio orientale (Prunus serrulata Lindl.), diffuso in Cina, Giappone e Corea; il ciliegio della Manciuria (Prunus tomentosa Thumb. et Murray) originario del Tibet, Cina e Corea; il ciliegio nero (Prunus serotina Ehrh.) del Nord America, naturalizzato anche in Europa; il ciliegio della Virginia (Prunus virginiana L.), ancora nordamericano. Nessuna di queste specie sembra essere coinvolta nell'origine dei ciliegi coltivati in Europa, nonostante qualcuna venga utilizzata per il frutto in altre parti del mondo (anche con colture a livello familiare) o sia stata localmente impiegata come portainnesto. Altri ciliegi sono invece coltivati per ornamento, soprattutto per la profusione di fiori primaverili.
Il ciliegio dolce è un albero spontaneo nei boschi di quasi tutta Europa, pertanto l'utilizzo da parte delle antiche popolazioni si limitava alla raccolta delle drupe direttamente dalle piante selvatiche. Le ciliegie furono da sempre presenti nella dieta umana e ne abbiamo evidenza nei noccioli rinvenuti in numerosi scavi nei villaggi palafitticoli dei laghi prealpini, ad esempio lungo il Garda veronese.
Si può ragionevolmente supporre che le fasi iniziali della domesticazione siano consistite nella semplice selezione degli individui con frutti di maggiori dimensioni, spesso dotati anche di differenti colorazioni. L'aumento dimensionale dei frutti fu seguito da quello dei semi in modo molto più graduale e variabile, tanto che i range biometrici misurati in esemplari selvatici e coltivati hanno un ampio margine di sovrapposizione. Questo fatto esclude pertanto che lo studio dei noccioli nei livelli archeologici risulti decisivo per discriminare le forme coltivate da quelle spontanee, rendendo estremamente difficile stabilire le tappe principali nella domesticazione di questa specie (Sauer, 1993).
Le fonti e le testimonianze materiali sono comunque sostanzialmente concordi nell'indicare che la messa in coltura e le prime selezioni del ciliegio comune avvennero nell'Asia occidentale. Dai territori pontici di origine, il ciliegio coltivato venne poi diffuso progressivamente in tutta la parte settentrionale del bacino del Mediterraneo, in Europa centrale e settentrionale e, in tempi molto più recenti, nei continenti americano e australiano.
Un altro problema a tutt'oggi insoluto riguarda l'origine del ciliegio acido, anch'esso indistinguibile nei reperti archeologici (e nelle fonti scritte) rispetto a quello dolce, almeno fino all'età medievale. Modernamente, si ritiene più probabile un'origine di poco antecedente il Medio Evo (Sauer, 1993), anche se alcuni Autori anticipano questa data giungendo persino a identificare con questa specie il "ciliegio" che Plinio dice importato da Lucullo a seguito della guerra mitridatica (es. Pignatti, 1982).
La coltura del ciliegio dolce, anche in frutteti specializzati, è attestata nella Grecia classica già a partire dal 4° secolo a. C., ma in Italia si diffuse solo poco prima dell'Età Imperiale. Il primo Autore a parlare del ciliegio coltivato in Italia fu probabilmente Varrone, che ne descrisse le tecniche colturali e in particolare l'innesto per propagare le varietà più pregiate. Secondo Plinio, il ciliegio non esisteva in Italia prima della vittoria su Mitridate del generale Lucio Lucullo, che poté importare la pianta a Roma proprio grazie alla conquista delle regioni del Ponto. Molto probabilmente l'Autore si riferisce alle forme coltivate, che dovevano comunque essere già sensibilmente differenti da quelle selvatiche per poter giustificare una simile affermazione. Tuttavia, sempre secondo Plinio, una volta arrivato in Italia, il ciliegio venne diffuso in tutte le province europee con tale rapidità che in soli 120 anni era già giunto nel settentrione del continente e in Britannia.
Columella non ne parla molto, limitandosi a indicare la migliore stagione per l'innesto, e solo Plinio gli concede uno spazio sufficientemente ampio, indicandone anche le varietà più pregiate dell'epoca: le Aproniane, le Lutazie, le Ceciliane, le Giuniane, le Lusitane, le Macedoniche, oltre alle Duracine (già a quell'epoca considerate le più pregiate) e alle più improbabili Lauree, derivate da un innesto sull'alloro. Queste notizie relative a pratiche poco attendibili e a portainnesti incompatibili sono riportate anche per quanto riguarda altre piante arboree da frutto, ad esempio i peri. Il loro significato è probabilmente magico, o si tratta semplicemente di espedienti per nobilitare alcune varietà ritenute particolarmente pregiate.
Nell'alimentazione romana, e non solo, le ciliegie rimasero a lungo un cibo di lusso. Esse venivano normalmente consumate fresche, ma potevano anche essere essiccate al sole e riposte in barili, come si faceva con le olive. Nel Medioevo, soprattutto nel periodo delle invasioni barbariche, la coltivazione del ciliegio attraversò un periodo di grave crisi, conservandosi in pratica solo nei giardini dei monasteri e nelle corti fortificate. La storia della ricostituzione della cerasicoltura alla fine dei secoli bui è stata poco indagata nell'Europa meridionale e segnatamente in Italia. Le notizie un po' più dettagliate disponibili per l'Europa centrosettentrionale permettono di sapere, ad esempio, che nell'Inghilterra normanna il ciliegio venne ampiamente ridiffuso a partire da varietà francesi, dopo il totale abbandono avvenuto del periodo sassone (Sauer, 1993). La ricostituzione della cerasicoltura fu quindi accompagnata da una redistribuzione delle varietà su scala continentale.
La diffusione europea delle migliori cultivar fu particolarmente attiva durante il periodo rinascimentale, quando ceraseti specializzati furono piantati in gran parte dell'Europa. Non è forse del tutto priva di fondamento la tradizione che fa risalire l'origine della cerasicoltura delle colline marosticane al 1454, anno in cui i primi ciliegi vi sarebbero stati piantati su ordine del governatore della "Terra e Castello di Marostica" in onore della bella figlia Lionora. E' circa nel 1600 che iniziano a comparire descrizioni di varietà riconducibili a quelle oggi maggiormente coltivate in Europa e in America settentrionale, come l'antenata tedesca della Royal Ann (che corrisponde alla Napoleon, nata in Germania nella seconda metà del '700 col nome di Lauerman e poi ribattezzata in onore di Napoleone) o della Black Tartarian (Sauer, 1993). Nel 17° e 18° secolo il ciliegio fu introdotto anche nel Nord America, rispettivamente nelle colonie orientali e in quelle occidentali. Ancora nel 1600 è anche documentata la prima varietà chiaramente identificabile di ciliegio acido, la Montmorency, coltivata in Francia. Attualmente il ciliegio è coltivato in Europa, Asia, America e Australia; l'Italia è uno dei maggiori produttori mondiali. La produzione del Veneto, terza in Italia dopo quelle di Puglia e Campania, si concentra in particolare nella Provincia di Verona e in minor misura in quelle di Vicenza, Treviso e Padova.
Nel Veneto, la cerasicoltura si mantenne quasi senza soluzioni di continuità fino dall'epoca romana, benché con alterne fortune. Tuttavia, il livello familiare dei frutteti non ha incoraggiato la stesura di rendiconti e notizie, che restano del tutto sporadici e aneddotici. La coltivazione del ciliegio rimase limitata al consumo familiare, con piante sparse nei broli domestici, poste a sostegno vivo delle viti nelle piantate oppure nelle siepi arboree che delimitavano i confini fra le proprietà, oppure destinate a un limitato commercio di lusso, ciò che giustifica alcune leggende e tradizioni come quelle di Marostica. Tra le varietà coltivate a livello familiare in quel territorio, desumibili da varie fonti, sono riportate le ciliegie de l'Asènsa o Sensaróle, Bissolàre (o Scagarèle, Cagarèle, per le proprietà lassative), Bissóne, Canpanóne, da Ciàmpo, Duróne, Duróne de Ciampo, Durone rosse di Mason, Marostegàne, de Molvéna, More de Castegnero, Moretóne, Negrèle, Roàne, Salbèghe, Sàndre. Tra le varietà di ciliegio acido sono invece citate le Bèssole, Marinèle, Marasche, Marascone, Vèrle.
Nei territori pedemontani di Asolo e Marostica, come pure nel Veronese e nei Colli Euganei, la coltivazione del ciliegio ha sicuramente antiche origini, ma solo da poco rappresenta una produzione specializzata. Di produzione di ciliegie destinate al commercio si parla forse per la prima volta solo nel 1807, in una relazione stilata dall'"Accademia d'Agricoltura di Verona", oggi "Accademia d'Agricoltura, Scienze e Lettere". A fine Ottocento il Regio Prefetto conte Luigi Sormani Moretti, nella Monografia della provincia di Verona, forniva notizie dettagliate sulle varietà più coltivate che: "… distinguonsi giusta l'ordine di loro maturazione qui, in: primiere, che maturano alla prima metà di maggio; ballottone, che seguono le primiere una settimana più tardi e sono, come il nome l'indica, assai grosse; more piccole o pegolotte; more o pertegaizzi; marostegane, di color pallido e saporite…". Tra le ciliegie acide ricorda "…visciole, amarasche, amarascone…" Circa alcune tecniche di coltivazione, annota che "…usansi qui innestare talvolta sul pruno Mahaleb di Linneo, detto in vernacolo sbolzafrin, dal cui legno suolsi fare canne da pipa. Si moltiplica il ciliegio per semi e per pianticelle educate in vivai o nate casualmente e l'innesto, che è sempre necessario, qui si fa preferibilmente a gemma o a corona".
La diffusione intensiva e specializzata del ciliegio, soprattutto nell'area collinare veronese, iniziò solo dopo la prima Guerra mondiale, consolidandosi poi tra il 1930 e il 1940 (profittando della ricostruzione dei vigneti distrutti dalla fillossera) e soprattutto nel secondo dopoguerra, grazie alle mutate condizioni di mercato e dalle ottimali situazioni climatiche ed edafiche e dall'ormai acquisita professionalità degli operatori locali. Nel 1935, nel comune di Cazzano in Valtramigna per iniziativa del Partito Nazionale Fascista e la collaborazione della cattedra ambulante dell'Agricoltura (l'odierno Ispettorato), nasce la Prima Mostra Provinciale delle Ciliegie in un periodo dove la gente "guardava ai campi come unico sostentamento". Le prime descrizioni sulle cultivar impiegate sono del Candioli (1940), che cita tra le varietà Antieste, Este, Caccianese, Moretta, Durona Precoce di Verona, e tra le medie Mora di Cazzano, Durona di Modena e Vicentina. Paradossalmente, fu solo dopo l'entrata in vigore della legislazione per la D.O.C. dei vini negli anni '70, in cui s'impose l'assoluta specializzazione del vigneto, che il ciliegio si svincolò dal ruolo di tutore vivo, concentrandosi in coltivazioni autonome. Con la ricostituzione dei vigneti e dei ceraseti fu possibile perfezionare l'assortimento varietale varietale con un maggior impiego della migliore cultivar locale, la Mora di Cazzano o Durona di Verona e la sostituzione delle vecchie tenerine e dei duroncini molto soggetti alle spaccature da pioggia, con altre varietà più adatte al mercato che costituiscono ancor oggi la piattaforma varietale veronese.
Molto importante fu il ruolo dei Consorzi locali. E' emblematico il caso di Mason Vicentino, nel Marosticano, dove già nei primi anni '50 esisteva un mercato delle ciliegie, nel quale veniva raccolto e venduto praticamente tutto il prodotto locale. Verso la fine degli anni '50, la creazione nello stesso paese del Consorzio per la conservazione della frutta fornì le premesse per la riorganizzazione complessiva della produzione. All'inizio degli anni '60 vennero costruiti i capannoni adibiti al conferimento, lavorazione e commercializzazione delle ciliegie e nel 1969 venne costituito un consorzio tra i produttori, con lo scopo di riorganizzare l'intero settore cerasicolo che aveva assunto, nel tempo, un'importanza progressivamente crescente nell'economia locale arrivando all'ottenimento della Indicazione Geografica Protetta (IGP) con la denominazione "Ciliegia di Marostica".
Le colline di Marostica, infatti, rappresentano oggi il secondo distretto cerasicolo del Veneto. Il terreno in cui viene coltivato il ciliegio deriva in buona parte dall'alterazione di rocce basaltiche terziarie; è particolarmente fertile, povero di azoto ma ricco di potassio, che contribuisce molto favorevolmente alla qualità del prodotto. La produzione attuale si basa soprattutto su alcuni gruppi di varietà, localmente distinte come Sandre, Duroni e Marostegane. Si tratta in realtà di uno spettro varietale notevolmente più ampio, comprendente le cultivar Sandra, Francese (a sua volta ripartibile in Moreau e Burlat), Romana, Bella Italia, Milanese, Durone Rosso, Giorgia, Van, Ferrovia, Durone Nero I, Durone Nero II, Mora di Cazzano, Ulster. L'area di produzione comprende i comuni di Marostica, Bassano del Grappa, Breganze, Fara Vicentina, Mason Vicentino, Molvena, Pianezze, Salcedo e Schiavon.
Nel Veronese sono classificate come Prodotti tipici le ciliegie prodotte nei colli a Nord del capoluogo ("Ciliegia delle colline veronesi") e quelle dell'estremità orientale della provincia, al confine col Vicentino e in continuità coi distretti cerasicoli più occidentali di quest'ultimo. L'area cerasicola della Lessinia orientale, concentrata allo sbocco delle valli di Illasi e di Tramigna (Comuni di Cazzano di Tramigna, Tregnago, Illasi), è tra le più importanti del Veneto dal punto di vista quantitativo, nonostante sia quella di origine più recente. Le cultivar che vi sono più diffuse sono la Mora di Cazzano o Mora di Verona, la Mora dalla punta, la Moreau, Burlat , l'Adriana, la Giorgia, la Ferrovia, la Van, la Lapins e la Sweet Heart.
Nei confinanti Lessini vicentini, una certa notorietà è posseduta dalla Valle del Chiampo, che confina col distretto veronese che fa capo a Cazzano. La locale ciliegia è commercializzata con la denominazione di Durona del Chiampo (da taluni ritenuta corrispondente alla Mora di Cazzano); in realtà, buona parte della produzione è basata sulle già citate cultivar veronesi.
Nei Colli Berici (VI), l'area a vocazione cerasicola comprende una parte orientale, gravitante attorno a Castegnero e ai comuni limitrofi, e una occidentale, incentrata su Sarego. Le varietà coltivate nel versante orientale sono in gran parte autoctone (Mora di Castegnero, Pollaio, forse corrispondente alla Moreau), mentre il versante occidentale produce soprattutto varietà veronesi, tra cui soprattutto la Mora di Cazzano; veronese (Montecchia di Crosara) è anche la principale piazza di sbocco commerciale.
Anche i Colli Asolani ospitano un promettente distretto cerasicolo ("Ciliegia dei Colli Asolani"), in continuità geografica con quello marosticano, e una discreta produzione di ciliegie è prodotta nelle alture vulcaniche del Padovano ("Ciliegia dei Colli Euganei").
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