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Il melo

Malus domestica Borkh.
Fam. Rosaceae

La var. Calamana, tra le più antiche varietà di melo coltivate nel Veneto, nella Pomologia di Girolamo Molon (Hoepli, 1901).
Figura 1: La var. Calamana, tra le più antiche varietà di melo coltivate nel Veneto, nella Pomologia di Girolamo Molon (Hoepli, 1901).

CARATTERI BOTANICI

Il melo domestico (Malus domestica Borkh.) è una pianta di origine esclusivamente colturale, generalmente interpretato come uno sciame di forme di origine ibrida stabilizzate dalla coltura. Non è invece chiaro quale specie selvatica vada considerata l'antenato più prossimo, tra il melastro europeo Malus sylvestris (L.) Miller e altre entità, sia europee, tra le quali M. dasyphylla Borkh. e M. praecox (Pallas) Borkh., che asiatiche, come M. sieversii (Ledeb.) M. Roem. e M. pumila (L.) Miller. Oltre a queste specie principali, hanno fornito contributi genetici di entità variabile altre entità come M. prunifolia (Willd.) Borkh., M. hupehensis (Pamp.) Rehder, M. baccata (L.) Borkh. e probabilmente altre ancora.
Si calcola che dall'inizio della coltivazione sino state selezionate non meno di 10.000 cultivar di melo, gran parte delle quali sono andate perdute. Quest'ampio spettro varietale è certamente legato alla pratica di diffusione per seme che, soprattutto in specie con spiccata eterozigosi come il melo, ha come conseguenza un'ampia variabilità. Oggi le varietà coltivate a scopo commerciale in tutto il mondo non superano il numero di cento, una decina delle quali superano il 90% della produzione mondiale. L'odierno panorama varietale è incentrato essenzialmente sulle cultivar da tavola a maturazione autunnale e invernale, che rappresentano circa il 90% della produzione.

Il genere Malus Miller possiede fiori pentameri, con ipanzio tubulare, non aperto all'apice e completamente includente i carpelli, che sono in numero di 3-5 e connati con l'ipanzio, con pareti cartilaginee nel frutto, ognuno dei quali contiene 2 o più ovuli. Dai carpelli e dall'ipanzio si sviluppa un falso frutto (pomo) più o meno globoso, ombelicato alla base, con polpa generalmente priva di cellule pietrose (sezione Malus). Il numero cromosomico basale è n = 17, mentre i livelli di ploidia possono essere variabili (da aploide a triploide). Comprende circa 55 specie, distribuite in tutto l'emisfero boreale. Di esse, solo alcune hanno interesse colturale come piante da frutto; altre sono coltivate a scopo ornamentale, per i fiori e i frutti abbondanti e vivacemente colorati. Il principale centro di diversità specifica è compreso tra la Turchia orientale, la Russia sudoccidentale e l'Asia minore; un secondo centro comprende l'Asia centrale e orientale, fino alla Cina, Corea e Giappone. Pur esistendo anche Malus nordamericani, non risultano domesticazioni in questo continente, mentre è accertato il consumo di frutti selvatici da parte delle popolazioni indigene.

Malus domestica Borkh. (= Pyrus malus L.; Malus communis DC.; Malus sylvestris Miller var. mitis Wallr.; incl. var. tomentosa Koch.). Melo comune. Piccolo albero alto 3-10 m, con rami non spinosi e tomentosi da giovani. Corteccia grigio-cinerea, liscia. Gemme a legno e miste portate da rami di tipo diverso. Foglie caduche, ovate o ovato-ellittiche, lunghe 4-13 cm e larghe 3-7 cm, con lamina tomentosa soprattutto alla base e lungo le nervature, dentellate o crenulate lungo il margine, acute, con base arrotondata o debolmente cordata.
Picciolo lungo metà della lamina o meno. Fiori in cime ombrelliformi o corimbiformi di 3-7 elementi, dei quali il fiore centrale ha un'antesi anticipata rispetto agli altri, maggiori dimensioni e tende a formare frutti più grandi; peduncoli e tubo calicino densamente tomentosi; petali bianchi ma spesso esternamente rosei (soprattutto nel bocciolo), obovati, lunghi 10-20 mm. Ovario epigino o infero, connato con l'ipanzio, pentaloculare, con normalmente due ovuli per loggia. Stili glabri. Impollinazione entomofila, soprattutto ad opera delle api domestiche (Apis mellifera). Falsi frutti (pomi) pentaloculari, con circa due semi per loculo, sferoidali o ellissoidali, con epicarpo colorato (dal verde, al giallo, al rosso) che deriva dall'ipanzio e non dall'ovario; polpa bianca o bianco-giallastra, di consistenza variabile; fruttificazione prevalentemente sulle lamburde e sui brindilli, che portano una gemma mista. Semi piccoli, neri o bruno scuri, acuminati, blandamente velenosi per la presenza di sostanze cianogeniche (amigdalina). Nella maggior parte dei casi, almeno dal punto di vista commerciale, esiste incompatibilità gametofitica all'interno del gruppo della stessa cultivar, ma i gruppi pomologici sono tra loro interfertili e pertanto si richiedono più cultivar per ogni impianto. L'autoimpollinazione è rara, ma non impossibile.

La var. Calvilla d'Inverno, dalla Pomologia di Girolamo Molon (Hoepli, 1901).
Figura 2: La var. Calvilla d'Inverno, dalla Pomologia di Girolamo Molon (Hoepli, 1901).

Malus sylvestris (L.) Miller (= Pyrus malus L. var. sylvestris Auct.; Malus acerba Mérat). Melastro. Si distingue dal melo coltivato per i rami induriti e spinosi all'apice, le foglie glabre (pubescenti sui nervi da giovani) con picciolo lungo quanto la lamina, i peduncoli e il tubo calicino glabri o poco pelosi, i petali subrotondi, i frutti piccoli (2-3 cm) e di sapore nettamente acido.
E' pianta europeo-caucasica, presente in tutto il continente con l'eccezione di alcuni distretti insulari (Azzorre, Baleari, Islanda, Faer Oer ecc.), delle massime latitudini e degli ambienti più aridi; nel bacino del Mediterraneo settentrionale occupa solamente le nicchie più mesofile. Debolmente acidofilo, è un elemento accessorio dei boschi submediterranei misti di latifoglie ed è relativamente esigente in termini di umidità del suolo. Il melastro è considerato comune in tutto il territorio italiano ma in effetti ha forti differenziazioni locali ed è piuttosto raro nel Veneto. Il quadro di distribuzione è incerto a causa della completa interfertilità col melo domestico, che inoltre, in assenza di cure colturali, tende a convergere verso la forma selvatica, risultando spesso di difficile distinzione (Pignatti, 1982).
Oltre alla subsp. sylvestris, ampiamente distribuita nell'Europa temperata, si distingue nell'ambito di Malus sylvestris la subsp. orientalis (Uglitzkich) Browicz (= Malus orientalis Uglitzkich), propria della Turchia settentrionale e del Caucaso. Quest'ultima pare essere l'ancestore più probabile delle varietà caucasiche di melo domestico e mostra un'elevata variabilità e caratteristiche a tutt'oggi poco sfruttate nel miglioramento delle varietà coltivate, come ad esempio elevate concentrazioni di flavonoidi, zuccheri e vitamina C (Gabrielian, 1991). E' a tutt'oggi raccolta come frutto spontaneo dalle popolazioni nord-caucasiche, nonostante la disponibilità commerciale di mele coltivate.

Malus pumila (L.) Miller(= M. pumila var. paradisiaca (L.) C. K. Schneider) Melo del Paradiso. Frequentemente coltivato anche per frutto e come portainnesto. E' specie centroasiatica, riconoscibile per le foglie a margine crenato-serrato. Secondo l'interpretazione di Autori anche importanti (ad es. Heywood, Zohary, 1995) sarebbe questa, e non il melastro, la specie più strettamente imparentata col melo domestico. Addirittura, il binomio M. pumila sarebbe sinonimizzabile con M. domestica e, secondo le regole di nomenclatura, prioritario su quest'ultimo.

Malus dasyphylla Borkh. (= M. communis subsp. pumila auct., non (Miller) Gams, M. pumila var. paradisiaca auct., non (L.) C. K. Schneider). Ha foglie tomentose come M. domestica, ma frutto di piccole dimensioni (fino a 4 cm) e di sapore acido, come M. sylvestris. Diffuso spontaneamente nel bacino del Danubio e nella Penisola Balcanica e localmente coltivato. E' un componente accessorio dei boschi e delle boscaglie igrofile ripariali ed è probabilmente implicato nell'origine di alcune forme coltivate.

Malus praecox (Pallas) Borkh. Ha frutti decisamente piccoli (2,5-3 cm di diametro), foglie ovate e stili spesso villosi nella metà inferiore. E' quasi sicuramente coinvolto nell'origine del melo coltivato, al quale avrebbe fornito geni importanti per la resistenza al freddo. Cresce nella Russia centro-settentrionale, distintamente più a Nord rispetto a tutte le altre specie considerate. La var. gallica (melo dolcino) è usata spesso come pianta da frutto, ma soprattutto come portainnesto.

Malus sieversii (Ledeb.) M. Roem. I suoi frutti non sono astringenti come quelli di M. sylvestris, ma piuttosto dolci e di sapore gradevole, paragonabile a quello di alcune varietà di mela attuale, tanto da far considerare particolarmente importante il suo ruolo nell'evoluzione dei caratteri organolettici delle mele moderne. Il suo areale comprende le repubbliche ex-sovietiche del Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan e la provincia dello Xinjiang in Cina.

La var. Pearmain, venetizzata in Parmena, è forse la più antica cultivar di mela descritta in Europa. Dalla Pomologia di Girolamo Molon (Hoepli, 1901).
Figura 3: La var. Pearmain, venetizzata in Parmena, è forse la più antica cultivar di mela descritta in Europa. Dalla Pomologia di Girolamo Molon (Hoepli, 1901).

Tra le altre specie i cui geni hanno buone probabilità di essere coinvolti nell'evoluzione del melo si possono ricordare Malus prunifolia (Willd.) Borkh., con calice glabro e persistente, dell'Asia settentrionale e orientale, dove è usato come pianta da frutto; Malus hupehensis (Pamp.) Rehder, con frutto di 1 cm di diametro, giallo con striature rosse, della Cina e India settentrionale, usato come portainnesto; Malus baccata (L.) Borkh. (Cina settentrionale, Manciuria, Corea, Sakhalin), con calice glabro e caduco, foglie ovato-ellittiche, (5-10 cm x 3-5 cm), a margine crenato-serrato, fiori bianchi e profumati, frutto di diametro di circa 1 cm, rosso o giallo, persistente sui rami, di sapore abbastanza gradevole. Anche quest'ultimo è più spesso coltivato come portainnesto che come pianta da frutto.

Incidentalmente, va ricordato che l'altra specie selvatica di Malus presente in Italia, M. florentina (Zuccagni) C. K. Schneider, che si presenta con foglie irregolarmente lobate, dimensioni nettamente inferiori, frutto ellittico, piccolo (1 cm di diametro), di colore rosso pallido e con polpa contenente cellule pietrose come le pere e le sorbe, è in realtà un ibrido stabile tra il melastro e il ciavardello (Sorbus torminalis L.) e quindi va interpretato correttamente come X Malosorbus florentina (Zuccagni) Browicz. E' una pianta poco comune nei boschi submediterranei della catena appenninica, dall'Emilia-Romagna alla Calabria, e dei Balcani meridionali, e non ha fornito geni all'evoluzione del melo domestico.

STORIA

Sono pochissime le specie che più del melo sono legate a miti e simbolismi, la cui universalità ne testimonia la diffusione e l'importanza presso i popoli antichi. Secondo un mito greco arcaico fu Gea, la Grande Madre mediterranea, a offrire la mela ad Era come dono nuziale, simbolo di fecondità, mentre per i mitografi più tardi la mela sarebbe stata creata da Dioniso, che l'offrì ad Afrodite. L'associazione del pomo con quest'ultima deriverebbe dall'anatomia del frutto: sezionando trasversalmente le logge che contengono i semi compare una sorta di stella o pentacolo, longitudinalmente una figura simile a una vulva. Da questi miti legati alla fertilità derivavano le usanze di dividere una mela prima di entrare per la prima volta nel talamo nuziale e di inviare o lanciare una mela come dichiarazione d'amore.
La mela e il melo sono spesso associate a luoghi mitici: dall'Eden (l'identificazione del Frutto con una mela è però solo medievale), alle Isole dei Beati dell'estremo Occidente del Mediterraneo greco, ad Avalon (l'Isola delle Mele" dove riposavano gli eroi, il cui nome ha la stessa radice di apple - Apfel), fino al centro del cielo, individuato proprio da un melo selvatico, per gli indiani Irochesi. Molto diffusa è anche l'associazione tra la mela (archetipo dei frutti) e la conoscenza "da assaporare": il mito della Genesi, il dono delle Esperidi ad Eracle, il simbolismo di "sapere tramandato" nella religione druidica, la stessa mela di Newton.

Il melo, raffigurato nei Discorsi sopra Dioscoride di Pier Andrea Mattioli (1544).
Figura 4: Il melo, raffigurato nei Discorsi sopra Dioscoride di Pier Andrea Mattioli (1544).
In Europa meridionale ci sono evidenze di uso di mele a partire dal Neolitico (di solito resti di frutti carbonizzati in stazioni palafitticole, ad es. in Svizzera, Italia, Austria e Svezia), che suggeriscono però che le mele fossero raccolte in natura e consumate fresche o conservate per essiccamento, dopo essere state affettate. Probabilmente, la dispersione occasionale dei semi nei dintorni degli insediamenti, nei rifiuti o nelle feci, diede inizio alla coltivazione. E' stato anche ipotizzato che, durante il taglio di superfici boscate per ricavare spazi adatti alla coltivazione, possano essere stati volutamente risparmiati i migliori alberi da frutto spontanei. Tuttavia, la costanza dell'impollinazione incrociata doveva grandemente limitare l'efficacia di questa selezione (Sauer, 1993).
Il luogo d'origine delle mele coltivate di tipo moderno non è noto con sicurezza, ma dovrebbe trovarsi nell'area compresa tra il Caucaso, l'Asia centrale e l'Himalaya, che rientra nell'areale di Malus pumila. Non manca chi sostiene che l'origine del melo domestico vada ricercata in Asia orientale e che la sua diffusione nell'area caucasica e quindi in Europa sia avvenuta solamente in un secondo tempo.
Probabilmente, ognuna di queste ipotesi è solo una parte della verità: è verosimile che la domesticazione dei meli sia avvenuta in più aree, a partire dalle specie localmente disponibili, e i primi meli coltivati non potevano che derivare da semplici selezioni a carico di Malus pumila, M. sylvestris, M. sieversii o uno qualsiasi degli altri. In un secondo momento, l'interfertilità di quasi tutti i meli selvatici consentì le frequenti e complesse ibridazioni che diedero origine alle forme attuali.

L'espansione dei popoli caucasici, che attorno al 4000 a. C. occuparono un territorio esteso dall'Iraq a tutta l'Europa meridionale, potrebbe già essere stata accompagnata dalla diffusione di varietà selezionate. Il melo era coltivato in Egitto, soprattutto lungo il Nilo, dove sembra fosse stato importato dalla Siria. Il primo dato archeologico attendibile sulla coltivazione del melo domestico risale comunque ad appena il 10° Secolo a. C., da un sito oggi in territorio israeliano situato tra il Sinai e il Negev. Questa località è poco adatta al melo e si trova al di fuori del suo areale spontaneo, il che fa pensare che le coltivazioni fossero perlomeno irrigate. La coltura del melo non ebbe comunque mai grande sviluppo in Africa.
La melicoltura era nota ai Greci e agli italici già nelle prime fasi del loro sviluppo sociale, almeno a partire dall'800 a. C.: tanto i testi greci quanto quelli latini ne parlano diffusamente. Teofrasto (323 a. C.) descrive 6 varietà di mele, indicando come le cure colturali (tra le quali l'innesto) siano indispensabili per ottimizzare la produzione e come la semina diretta dia normalmente frutti di qualità inferiore. Plinio indica negli Etruschi gli iniziatori della pratica dell'innesto, ma è più plausibile la tesi secondo cui questa tecnica sarebbe stata esportata in Italia dalla Grecia, dove era forse giunta da territori ancora più a Oriente. Poiché il melo radica con difficoltà da talea e le caratteristiche desiderate nei frutti sarebbero state diluite dall'incrocio necessario per la riproduzione da seme, la pratica dell'innesto era l'unica in grado di diffondere proficuamente le piante con le caratteristiche volute. I portainnesti erano solitamente esemplari selvatici di melo o melastro, anche se Plinio parla di improbabili innesti su alloro e altre piante.
Il quadro varietale in epoca romana doveva essere piuttosto ampio, anche se non può essere esclusa la possibilità di sinonimie. Plinio elenca le numerose varietà di mala diffuse ai suoi tempi, includendo però in questo termine anche altre piante da frutto come gli azzeruoli, i cotogni e simili. Tra queste specie "dubbie" cita le mele "lanose", cioè con la buccia coperta da una leggera pubescenza come le pesche, che dice esclusive del territorio di Verona. Non è chiaro di che frutti si possa trattare, ma è improbabile che si tratti effettivamente di mele (o, come ipotizzato ad es. nell'edizione Einaudi, dei frutti di Cotoneaster tomentosa). Tra le varietà sicuramente ricadenti all'interno di Malus domestica Plinio riporta: Matiana, Cestiana, Malliana, Scaudiana, Appiana, Sceptiana, Quiriana, Scantiana, Petisia, Amerina, Graeca, Siriaca, Appiola, Mustea, Oreomastia, Spadonia (prive di semi, quindi "castrate" secondo l'etimologia greca spadon), Pannucea, Pulmonea, Silvatica, Farinosa, oltre a qualche probabile lusus come le mele Gemelle e Melofoglie (con foglie inserite sul frutto). Columella cita le varietà Scaudiana, Matiana, Orbiculata, Cestiana, Pedusiana, Amerina, Syrica, Melimela, oltre a tre di cotogna. Nel Medioevo, i contadini e i monaci di tutta Europa producevano numerose e varie qualità di mele, che sarebbero poi state alla base di un'attivissima selezione in epoca rinascimentale. Nei giardini dei benestanti del '5-600 erano coltivate varietà con differenti caratteristiche organolettiche e con tempi di maturazione scalari; nello stesso periodo iniziò anche lo studio pomologico delle cultivar. Probabilmente la più antica cultivar descritta in Europa è la Pearmain, diffusa in Inghilterra già nel 1200 come mela da sidro. La varietà venne esportata in vari luoghi d'Europa e, nell'800, in America e Giappone. Questa varietà è molto prossima a quella che nel Veneto viene indicata come Parmena, anche recentemente individuata nei Lessini (Ist. Strampelli Gen. Agr., Coll. N° 1990) e sull'Altopiano di Asiago (Cantele, 2003). Nell'Età moderna la coltivazione del melo si diffuse nel Nord America, in Australia e Nuova Zelanda ad opera dei coloni, con piante importate dall'Europa ma spesso con importanti sviluppi locali, come le Golden Delicious (West Virginia) e le Granny Smith (Nuovo Galles del Sud), originate entrambe da un fortunato semenzale. Queste specie sarebbero poi state alla base della moderna melicoltura in gran parte del mondo, compreso il Veneto.
La coltivazione della mela nel Veneto ha origini sicuramente antiche, ma le fonti sono numerose e sicure solo a partire dai secoli XIV e XV. La produzione rimase a lungo soprattutto familiare o in piccoli appezzamenti promiscui, negli orti e nei broli dei grandi possidenti e dei conventi, teatro di gran parte dell'antica frutticoltura veneta. Fino alla fine dell'800 le relazioni agronomiche sottolineano il carattere promiscuo della coltivazione, con singole piante o brevi filari sparsi all'interno di altre colture legnose come la vite (spesso in funzione di sostegno) o tra i seminativi. Gli sbocchi commerciali erano di conseguenza limitati all'autoconsumo e ai mercati locali, con poche e sporadiche concessioni all'esportazione.
La coltivazione era solitamente ad alto fusto, priva o quasi di elementari cure colturali come la potatura, spesso con produzioni alterne con frutti abbondanti un anno e scarsi l'anno successivo. Anche la conservazione era affidata a metodi rudimentali, quali la màsera, consistente in mucchi di frutti in cui avveniva una fermentazione secca che interessava solo lo strato superficiale dei cumuli, preservandone l'interno; più spesso le mele venivano semplicemente deposte su graticci nel granaio o infine, più raramente, accumulate in buche nel terreno (Gr. Ric. Civ. Rur., 1998). Soprattutto nelle zone montane, i frutti erano fatti fermentare per ottenere sidro.

Il melo, nella rappresentazione del Cruijdeboeck di Rembert Dodoens/ Rembertus Dodonaeus (1544).
Figura 5: Il melo, nella rappresentazione del Cruijdeboeck di Rembert Dodoens/ Rembertus Dodonaeus (1544).
La frammentazione delle coltivazioni e la dimensione familiare delle colture favoriva una forte differenziazione del prodotto, ancora aumentata dalla nascita spontanea di semenzali. Un evento che incise fortemente sul quadro varietale fu l'emigrazione, in quanto il ritorno degli emigranti dai principali paesi europei (Francia, Belgio, Germania) fu accompagnato dall'importazione di marze da innestare su piante locali (Cantele, 2003). Ecco un elenco, molto incompleto e probabilmente affetto da numerose sinonimie, delle varietà coltivate nel Veneto nel '900, magari con uno o pochi esemplari: Adàmo, Annurca (viene riportata con una sola n o è un errore? Annurca), Appio, Arancia rùsene, Ardìva, Balotón, Belfiore giallo, Bella di Boskoop o del bosco, Bella di maggio, Bianchétto, Bianco, Bianco grosso, Biancone, Brentanóni, del Buro, Caimàno, Calamàni, Calvilla, Calvilla bianca d'inverno, Calvilla invernale, Calvilla Quanello, Campanìn, Canada, Carèda, Carpandù, dal Castèlo, Cavazzése, del Casón, Casonéti, Cèra, Coke Narance, Commercio, Coràllo, Córlo, Dècio, Dècio Nostran, del Diàvolo, Diavolón, Dina, Dolce striato, Dólse, Durèl o Durèlo, Duróne invernale, Erago, del Fèro, del Fèro bianco, Fèro Césio (o de Césio), del Fèro Dolse, dal Fèro Rósso, Fiàmma, Fiamma striato, dea Fragola, Francése, Gàiga, Gentile, Giallo Posina, del Giusèpe, Gobbi, del Gòdi, Gran Alessandro, Guancia Róssa, Guzzi, Invernale tardivo, Jonathan, Lèchar, Limonsìn, dala Lóra, dea Madòna, dal Maneghéto, dala Miòla, Miòto, Moltrìna, Mòro, Muséto bianco, Muséto rósso, Musón o Casonàti, Nogàra, Nogarèta, Òba, de l'Ojo, Orco, Padovàni, Papadòpoli, del Paradìso, Parmena (Pearmain) dorata invernale, Pelìzza, Póme, Pomèla Marinchèle, Póme pìcole, da Pónto, da Pòrto, Precoci, Proméssa, Prussiana (o Pón-prussiàn), Prussiano rigato, dela Ràsa, Renéta, Renétta ananas, Renétta del Canada (o canadése), Renétta Lèkar, Renétta Rivabella, Rigadìn piccolo, Rigato rósso, dela Righéta, dela Rivéta, dea Ròsa, Ròsa di Caldàro, Ròsa cona, Ròsa dura, Ròsa gentile, Ròsa gialla, Ròsa del Giusèpe, Rosa grossa piatta, Ròsa lunga, Ròsa mànego longo, Ròsa mantovana, Rosa mòra, Ròsa nostrana, Rosapiàtta, Ròsa piccolo, Ròsa punteggiato, Ròsa romàna, Ròsa romana dura, Rosa romana gentile, Ròsa Silo, Ròsato invernale, Rosàto Monfenèra, Ròsato piccolo, dea Roséta, Roséta belunese, Roséta bianca, Roséta mantovana, Rosoléta, Rosón, Rosóna, Roóne, Róssa de Monfenèra, Róssa de montagna, Rossàle, Rossétti, Rosini, Rósso Canada, Rósso dolce, Rósso invernale, Rósso Martinàggia, Rósso piccolo, Rósso precoce, Rósso salvègo, Rossón o Rossùni, Rósso slavàto, Rósso striato, Rósso striato francese, Rósso tenuta, Rùgine, Rùgine Cabarlòto, Rùgine rósso, Rùgine Villanova, Rùsene, Rùsene pìcolo, Rusinénte (o Rusenénte), Salbègo, Salbègo fèro, Salbègo Pològni, San Baril (bianco e rosso), Sandri, San Pièro rósso, Sant'Ana, Sant'Ana parmèso, Saporito, dal Sasso, Scudelòti, Segala, Siampàgna, Sioléta (o Seoléta), Siolòto (o Seolòto), Sonàio, Striato invernale, Striato piatto, Suchéta, Tabulàki, Talìn, Tardìvo, Tènkale (o Tènkele), dea Vàle, Vèrde, Vèrde rosàto, Verdognolo, Verdón, Vinà, Vinà piccolo, Viòla, Zantedeschi, Zèuka, Zinèa, Zuccherino. Una situazione che, per quanto interessante dal punto di vista della biodiversità, non era certo favorevole alla razionalizzazione del settore.
La situazione della frutticoltura nel Veneto rimase sostanzialmente immutata fino a fine '800, nonostante da più parti si rilevasse la necessità di razionalizzare e modernizzare il settore, anche investendo nella formazione delle maestranze. A Schio (VI), per esempio, venne fondata nel 1883 la "Scuola Convitto teorico-pratica di Pomologia e di Agricoltura", su iniziativa del sen. Alessandro Rossi. La Scuola aveva un podere modello, con annesso frutteto; l'iniziativa non ebbe il successo sperato, ma aprì la via alle moderne scuole agrarie. Per l'avvio della melicoltura moderna si dovrà aspettare la prima metà del '900.
Le prime dettagliate informazioni sulla melicoltura in provincia di Verona sono descritte nella monografia del Sormani Moretti (1904) che riporta testualmente "Di meli, anche nei luoghi più elevati trovansi diffusi per la coltura e ricercate dal commercio le varietà dette qui: "Biancona" maturantesi a settembre; "Dalla Rosa" che è mela odorosa, dalla polpa bianca, tenera, aromatica; "Dolci e Garbe" dette anche pomi dalle miole ossia dalle midolle; "Decie", della famiglia delle Renette: "Durelle" di lunga conservazione e cotogni verdi e aspri da potersi mangiare previa cottura."
A Zevio, Belfiore e Ronco all'Adige (VR), all'inizio degli anni '30 si contavano circa 23.000 piante in meleto specializzato, con 27.000 q di produzione ("Relazione Economico-Statistica sulla Provincia di Verona", 1931). La tradizione fa risalire l'avvio del settore melicolo alla crisi economica del 1929 e attribuisce all'allora parroco di Belfiore, don Bendinelli, e a Piero Frigo i meriti delle prime importazioni dall'America di un migliaio di piante di nuove varietà (soprattutto Belfort e Commercio) e della diffusione di moderne tecniche frutticole. Le varietà oggi più coltivate sono: Golden Delicious (circa il 70 % della produzione), Granny Smith, Dallago, Royal Gala. Il Candioli (1941) riporta esperienze positive con le cultivar americane Rome Beauty, Delicious e Golden che "si vanno da qualche anno diffondendo con il reinnesto (…) in sostituzione delle varietà italiane ed indigene (Decio, Durello)" e che sono alla base dell'attuale piattaforma varietale costituita da: Golden Delicious (circa il 50 % della produzione), gruppo Delicious rosse, Gruppo Imperatore Morgenduft a cui si sono aggiunte le più recenti Granny Smith, e gruppo Gala.
Nel Padovano, la coltivazione moderna delle mele fu introdotta ai primi del '900 da Clemente De Togni. La zona più vocata si estende nel comprensorio di Montagnana, soprattutto a Castelbaldo e Masi ("mela del Medio Adige"). Le prime varietà coltivate erano Belfort, Morgenduft, Delicious e Jonathan; successivamente si sono aggiunte nuove varietà (Golden Delicious, Royal Gala, Stark Delicious, Granny Smith, Dallago, Imperatore, ecc.), con portainnesti a bassa e media vigoria. Le tecniche colturali sono state più volte migliorate per l'ottenimento di frutti di qualità.

BIBLIOGRAFIA

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