Biodiversità del Veneto

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L'orzo

Hordeum vulgare L. s. l.

Fam. Poaceae (= Graminaceae), tribus Triticeae

L'orzo comune, polistico e distico, raffigurato nel Cruijdeboeck di Rembert Dodoens/ Rembertus Dodonaeus (1544).
Figura 1: L'orzo comune, polistico e distico, raffigurato nel Cruijdeboeck di Rembert Dodoens/ Rembertus Dodonaeus (1544).

CARATTERI BOTANICI

L'orzo è probabilmente uno tra i più antichi cereali coltivati in Europa e la sua diffusione ha segnato l'origine dell'agricoltura già a partire dal Neolitico. Coltivato come alimento per l'uomo, come mangime zootecnico o per la produzione, anch'essa molto antica, di bevande fermentate (birra), l'orzo è stato protagonista di un'interessante vicarianza geografica, ma anche socioeconomica e culturale, con il frumento da una parte e con la vite e il vino dall'altra.
In realtà, l'orzo non è una sola specie, ma un complesso piuttosto eterogeneo, caratterizzato da spighette sessili, disposte in più file lungo il rachide e riunite a gruppi di tre. Le spighette possono essere tutte fertili o, più frequentemente, una fertile compresa tra due sterili. La principale differenza tra le singole varietà d'orzo è data proprio dal numero di file di spighette fertili presenti in ogni spiga, che possono essere due (orzi distici), quattro (tetrastici) o sei (esastici). In realtà, anche le varietà tetrastiche possiedono tutte le spighette fertili ma, oltre alle due file formate dalle spighette centrali opposte all'asse, le altre quattro formate dalle spighette laterali sono sovrapposte due a due e prominenti, in modo che far sembrare tetragona la sezione della spiga.
Dal punto di vista agronomico si può fare un'ulteriore distinzione di tre gruppi di varietà, in base alle esigenze colturali spesso selezionate in adattamento alle condizioni locali (Stanca, 1984):

  1. varietà invernali, dotate di elevata resistenza al freddo e con necessità di vernalizzazione tra 15 e 60 giorni, con forte risposta fotoperiodica (longidiurna). Sono varietà coltivate soprattutto nei paesi a clima freddo, inclusa l'Italia settentrionale.
  2. varietà primaverili, che non richiedono vernalizzazione e hanno debole risposta fotoperiodica (neutrodiurne).
  3. varietà alternative, con fioritura rapida in condizioni di giorno lungo e inibita da giorno corto. Sono caratterizzate da buona resistenza al freddo, ma possono essere seminate anche in primavera, anche in modo di rimediare a eventuali danni invernali con una risemina.

Nel 2005 la produzione mondiale di orzo è stata di 137 milioni di tonnellate (dati dell'International Grains Council), al quarto posto tra i cereali dopo frumento, riso e mais. Oggi l'orzo rappresenta un alimento base soprattutto nel Medio Oriente, mentre in Occidente è usato soprattutto nel settore zootecnico (50% della produzione) e per la produzione di birra e distillati (20%) (McGee, 1989).
Il centro di massima biodiversità colturale è oggi localizzato nell'Altipiano Etiopico, dove sono frammiste varietà distiche, polistiche e a spighe irregolari, con colore variabile nei lemmi (nero, bianco, violaceo) e nell'aleurone (bluastro, viola, nero). Nessuna delle forme coltivate sembra esistere in natura, ma si pensa che tutte derivino dalla specie Hordeum spontaneum C. Koch, del Vicino Oriente. Tutte le cultivar d'orzo risultano completamente interfertili con l'orzo selvatico (Heywood, Zohary, 1995).
Il genere Hordeum L. comprende circa una ventina di specie (Erhardt et al., 2002), alcune delle quali sono perenni, altre annuali. Molte di esse crescono spontanee anche in Italia, dove si comportano solitamente come pioniere in prati aridi a siccità estiva, sabbie marittime, incolti e margini di strada, più raramente come infestanti nei coltivi: le più comuni sono Hordeum secalinum Schreber, H. bulbosum L., H. marinum Hudson, H. hystrix Roth, H. murinum L. subsp. murinum, H. murinum L. subsp. leporinum (Link) Arcang.; è inoltre segnalato come avventizio nel Veneto e in Trentino-Alto Adige H. jubatum L., originario dell'America settentrionale e dell'Asia orientale e talvolta coltivato per ornamento per le grandi spighe lungamente aristate (Traverso, 1926). Nessuna di queste specie è imparentata con H. vulgare s. l.: solo H. bulbosum L. può essere incrociato con l'orzo coltivato, ma gli ibridi sono normalmente sterili (Heywood, Zohary, 1995).

L'orzo distico in un'incisione dal Kräuter Buch di Theodorus Jacobus/Tabernaemontanus (1588).
Figura 2: L'orzo distico in un'incisione dal Kräuter Buch di Theodorus Jacobus/Tabernaemontanus (1588).

Hordeum spontaneum C. Koch (= Hordeum vulgare L. subsp. spontaneum (C. Koch) Thell.). Orzo selvatico. Pianta annuale, diploide (2n = 14) e autoimpollinantesi. Originario dell'Asia sud-occidentale, il suo areale è stato artificialmente esteso fino al Nord Africa, alla Turchia occidentale, Creta, Cipro, Iraq, Iran, Afghanistan, fino alle repubbliche dell'Asia centrale (Erhardt et al., 2002; Heywood, Zohary, 1995; Zohary, 1991).
Hordeum spontaneum, come molte altre specie del genere, è oggi considerata una malerba infestante dei campi di cereali, ma il suo habitat primario è rappresentato dalle praterie aride a ciclo annuale dell'Asia minore. In particolare, le popolazioni più importanti in habitat naturale sono concentrate nella cosiddetta Mezzaluna Fertile, estesa dalla Valle del Giordano fino al confine tra Turchia e Siria verso Nord e al confine tra Iraq e Iran verso Est.

Hordeum vulgareb L. Orzo comune. Pianta annuale alta 50-150 cm, con culmi eretti e cavi. Foglie nastriformi, alterne, verdi o glauche, denticolate, con lunghe guaine, auricolate all'apice. Infiorescenza a spiga, molto variabile in forma e dimensioni, con spighette riunite in due serie di tre, le centrali sempre fertili, le laterali fertili o sterili. Cariosside 3 x 10 mm, con solco longitudinale da un lato. Probabilmente originario dell'Africa orientale.
All'interno di questa specie possono essere comprese anche alcune forme, da taluni considerate specie: Hordeum hexastichum L. (orzo maschio, con spighette tutte fertili e lungamente aristate, disposte in sei serie, originario dell'Africa nord-orientale e dell'Asia occidentale), Hordeum zeocriton L. (orzo di Germania, distico, con reste a ventaglio divergenti dal rachide, probabilmente originario dell'Abissinia) e Hordeum distichum L. (orzo francese o scandella, distico, con spiga lunga e sottile, originario dell'Asia centro-occidentale).

STORIA

L'addomesticamento dell'orzo avvenne probabilmente in Asia Minore (Mezzaluna Fertile) attorno al 9000-10000 a. C. In questo periodo, immediatamente successivo all'ultimo periodo glaciale, il relativo miglioramento climatico rese disponibili numerosi habitat per i cereali spontanei, provocando conseguentemente una rapida variazione nelle abitudini alimentari delle popolazioni umane. I manufatti litici, che si erano mantenuti sostanzialmente inalterati per più di 10.000 anni, mostrano una rapida evoluzione che conferma l'aumentata importanza della raccolta dei cereali selvatici e l'affinarsi delle tecniche per la loro macinazione. La prima cultura ad aver lasciato evidenze archeologiche in merito alla raccolta e alla macinazione dei cereali fu quella Natufiana, studiata in decine di siti nella Valle del Giordano e databili tra il 9000 e l'8000 a. C. (Sauer, 1993). In ogni caso, è molto probabile che la domesticazione dell'orzo sia avvenuta contemporaneamente in numerosi luoghi della Mezzaluna fertile e dell'Asia occidentale.
Poiché l'orzo si autoimpollina, le varietà coltivate si incrociano raramente con quelle selvatiche. Questo rende più facile la selezione di numerosissime cultivar, anche poco differenziate tra loro (Sauer, 1993). Per quanto riguarda invece la specie coltivata durante i primordi dell'agricoltura, i primi reperti portano invariabilmente a Hordeum distichum. Un orzo esastico comparve comunque già nel 6000 a. C. in Anatolia e, grazie alla maggiore produttività, soppiantò rapidamente le altre forme. Gli orzi distici si mantennero soprattutto nelle aree originarie, diffondendosi solo localmente in Europa, dove prevalsero di gran lunga le forme tetrastiche e soprattutto esastiche.
Come per molti altri cereali, una delle principali fasi della domesticazione dovette consistere nell'acquisizione della persistenza del seme sul rachide. Infatti, nelle forme selvatiche le cariossidi si staccano spontaneamente dalla spiga non appena conclusa la maturazione, disperdendosi nel terreno. Questo fenomeno, di ovvio vantaggio per la disseminazione in condizioni naturali, è aggravato dal punto di vista colturale dalla scalarità della maturazione. Il carattere della rachide tenace è conseguenza di una sola mutazione recessiva, facile da isolare e propagare.

Una varietà polistica di orzo  dal Kräuter Buch di Theodorus Jacobus/Tabernaemontanus (1588).
Figura 3: Una varietà polistica di orzo dal Kräuter Buch di Theodorus Jacobus/Tabernaemontanus (1588).
La disposizione delle spighette in gruppi di tre, con le due esterne sessili, è un adattamento alla disseminazione ad opera di animali. Questa struttura permise di ottenere un aumento della produttività selezionando le mutazioni che provocavano la trasformazione delle cariossidi sterili in fertili. Le file di cariossidi, in origine solo due, divennero quattro o sei grazie a singole mutazioni geniche, anche queste recessive, seguite da selezione. Si ricorda che negli orzi tetrastici le file di spighette fertili sono sei, ma due di esse sono sovrapposte in modo da apparire una singola fila.
Infine, vennero selezionate varietà mutiche per facilitare la pulizia dei chicchi e altre prive di dormienza invernale per permettere la semina primaverile.
L'orzo fu probabilmente il cereale più importante nella progressione dell'agricoltura verso l'Europa nel corso del Neolitico. Raggiunse la Penisola Ellenica nel 6000 a. C., la Mesopotamia e l'Egitto. Nel Neolitico l'orzo veniva coltivato in tutta Italia, assieme ai frumenti primitivi Triticum monococcum e T. dicoccum.
La coltura divenne ecologicamente bipolare: da un lato veniva praticata negli ambienti semiaridi dell'Asia sudoccidentale e del Mediterraneo orientale, dall'altra nelle valli alluvionali irrigue del Nilo, del Tigri e dell'Eufrate (Stanca, 1984). Rispetto al frumento, che ha migliori qualità nutrizionali e panificabilità, l'orzo ha il vantaggio di essere più rustico e resistente ai climi aridi o freddi, caratteristiche che lo rendono ancora oggi uno tra i cereali più diffusi nel mondo.
Tra il 6° e il 5° millennio a. C. l'orzo fu introdotto in Europa centrale e occidentale, divenendo in breve tempo la principale coltura cerealicola dei paesi a clima freddo. La bassa Valle del Reno e il bacino del Mar Baltico ne furono interessate nel 4000 a. C., le Isole Britanniche e la Scandinavia circa nel 3000 a. C.. E' in questo stesso periodo che iniziò la domesticazione di avena e segale, probabilmente giunte in Europa come infestanti a seguito di orzo e frumento. Una seconda corrente migratoria aggiunse la Penisola Iberica attraverso l'Africa settentrionale, nel 4000 a. C. circa. Nei due millenni successivi la coltura dell'orzo si spinse verso l'Estremo Oriente, fino alla Cina e all'Arcipelago Giapponese.
Nell'antichità, l'importanza dell'orzo come cereale era almeno pari a quella del frumento, soprattutto in Mesopotamia ed Egitto, dove era il cereale più economico e quindi più facilmente disponibile per le classi più povere. In Mesopotamia, in particolare, venne massicciamente diffuso durante la grave crisi agricola dovuta all'aumento della salinità dei terreni irrigui, che divennero poco adatti al frumento.
Uno dei principali usi di questo cereale è il maltaggio per la produzione di birra. Notizie relative alla fabbricazione di questa bevanda risalgono al 3° millennio a. C., sia in Egitto che in Mesopotamia. I cereali maltati venivano conservati sotto forma di pani non lievitati e cotti al forno, che venivano poi trattati con acqua prima di avviare la fermentazione. L'arte della fabbricazione della birra si diffuse dal Medio Oriente fino all'Europa centro-settentrionale in epoche solo di poco successive, soprattutto dove risultava impossibile la coltura della vite (McGee, 1989).
Il passaggio al frumento come cereale principale, sia in Grecia che in Italia, avvenne nel corso del 1° millennio a. C. In molte parti della Grecia l'orzo rimase a lungo il cereale più diffuso, soprattutto a causa della rocciosità e della scarsa fertilità del territorio montano. In Italia l'orzo, meno pregiato del frumento, venne progressivamente relegato nelle zone più marginali (Stanca, 1984).
Presso i Romani, l'orzo era il secondo cereale più coltivato, per erbai, pascoli e per la produzione di granella e di paglia; la produzione di granella arrivava a dieci volte la semente impiegata. Tuttavia, le classi abbienti soprattutto dell'Italia centrale non lo consideravano un cibo degno, potendolo agevolmente sostituire con il più nutriente e redditizio frumento per la panificazione e con la vite per la produzione di bevande fermentate. Se gli orzi distici erano talvolta impiegati nell'alimentazione delle classi inferiori, i tetrastici e gli esastici erano coltivati solo per uso zootecnico, per essere impiegati soprattutto in momenti particolari come gravidanza, parto, ingrasso e produzione di carne pregiata.
Plinio, che correttamente considerava l'orzo il più antico cereale usato nell'alimentazione umana, notava come ai suoi tempi non servisse quasi più per fare il pane ma solo per l'alimentazione degli animali. Era ancora molto usato per preparare una salutare tisana e anche la farina serviva ormai quasi solo per usi medicamentosi. Il quadro varietale fornito da Plinio si limita alla scontata constatazione dell'esistenza di orzi distici, tetrastici ed esastici ("alcune spighe hanno due file di grani, altre di più, fino a 6"), oppure alla descrizione di differenze qualitative nelle cariossidi: "più o meno allungate e leggere, o più corte, o più rotonde...".
Una spiga d'orzo polistico rappresentata da Pier Andrea Mattioli (1544).
Figura 4: Una spiga d'orzo polistico rappresentata da Pier Andrea Mattioli (1544).
Meno parco di notizie è Columella, che mostra di non disprezzare l'uso alimentare dell'orzo, considerandolo comunque "più salutare del cattivo frumento" e utile soprattutto nei periodi di carestia, perché più adatto ai terreni asciutti. Tra le varietà, cita un esastico (Cantherinum, Cavallino), un distico (Galatico), che diventa, "mescolato al grano, ottimo cibo agli schiavi" (e soprattutto ai gladiatori, per questo chiamati hordearii) e un non meglio identificato orzo di Galazia, originario dell'omonima regione dell'Asia Minore. Ai tempi di Columella la selezione per la persistenza della granella non era ancora completa: la raccolta dell'orzo doveva ancora essere eseguita prima della maturazione completa, per evitare che i chicchi "non rivestiti di pula e sorretti da uno stelo fragilissimo" cadessero nel terreno. L'autore fa notare come questo cereale andasse piantato in terra "fertilissima oppure poverissima, perché si sa che da esso i campi vengono resi più magri, e per questo si pone o in un terreno tanto grasso che l'orzo non possa nuocere alle sue sovrabbondanti risorse, o tanto magro che non vi si possa piantare niente altro".
Anche per quanto riguarda la birra, le fonti romane sono piuttosto povere e poco elogiative. Plinio la considerava una bevanda barbara, spiegando solo che veniva preparata in modi diversi nelle province della Gallia, della Spagna e in Egitto. Columella accenna appena alla birra "di Pelusio", città del Delta del Nilo. Ancora una volta è evidente come la birra fosse un sostituto poco gradito del vino, da bersi solo in mancanza di quest'ultimo.
Nelle sue ultime fasi, l'Impero Romano adottò una politica agraria volta a favorire, in Italia, la coltura degli strategici cereali a spese dei tradizionali vite e olivo. Il ripetersi delle invasioni barbariche e la diffusione del pascolo portarono però a una profonda crisi di tutta la cerealicoltura, che comunque sopravvisse per poi rifiorire quasi ovunque al ritorno di una relativa pace in Europa. Nel Medio Evo l'orzo venne di nuovo coltivato nelle zone in cui non poteva essere coltivato il frumento e nelle zone in cui veniva tradizionalmente consumata la birra. Nel Nord Europa, il pane d'orzo era l'alimento base dei poveri, contrapponendosi al pane di frumento consumato dalle classi ricche (McGee, 1989).
Ancora nel 1800 l'orzo era uno dei cereali più coltivati nell'Europa centro-settentrionale, sia per la produzione di mangimi zootecnici che di birra; è quindi evidente che anche la selezione varietale ebbe in queste regioni risultati particolarmente notevoli. Le varietà nord- e centroeuropee come l'inglese Maris Otter e la tedesca Perga saranno poi alla base del rilancio dell'ordeicoltura nel resto d'Europa.
In Italia, l'orzo era molto coltivato soprattutto al Sud, nei terreni poveri e aridi. In queste condizioni di quasi sopravvivenza, la semente veniva prodotta localmente e tramandata di generazione in generazione (Stanca, 1984), con il risultato di una pletora di tipi poco selezionati, molto variabili e con mediocre produttività. Nelle zone fertili del Veneto l'orzo fu sempre un cereale secondario, ma nei settori più difficili, come le Prealpi, le Alpi e l'alta pianura, poteva dare buoni risultati nei terreni poco fertili e ricchi di scheletro. Sull'Altopiano di Asiago, ad esempio, se ne hanno notizie sia da Dal Pozzo (1910, op. postuma) che da Burollet (1919), che testimoniano come l'orzo fosse diffusamente coltivato nei dintorni del paese montano. Gli impieghi nell'alimentazione umana erano limitati alla preparazione di minestre, a una modesta panificazione e come surrogato del caffè, scopo per il quale l'orzo veniva talvolta coltivato appositamente in piccoli appezzamenti familiari (Gruppo Ricerca Civiltà Rurale, 1998), mentre il grosso della produzione veniva impiegato per uso zootecnico. L'importanza modesta dell'orzo come cereale è indirettamente testimoniata anche dallo scarso numero di varietà, tra le quali spiccano Agordino, Orzo veneto, Invernenghe, Orzo quadrato primaverile, Scanderla. Nessuna di queste è compresa nel Registro varietale nazionale del 1982.
Per quanto riguarda la produzione della birra, l'Italia, paese tradizionalmente viticolo, ha una tradizione molto recente. Il primo documento che parla della fabbricazione di questa bevanda su scala appena più che familiare porta la data del 1789 e consiste in un privilegio concesso a Gio. Baldassarre Ketter di Nizza Monferrato per l'utilizzo di certe sorgenti. Successivamente, la fabbricazione della birra si diffuse dapprima al Nord, in particolare in Piemonte, Lombardia e Veneto e ancora più tardi nella penisola e nelle isole. Ancora all'inizio del '900 l'industria birraria italiana era molto arretrata rispetto all'Europa centro-occidentale e il consumo pro capite era di soli 1,5 litri l'anno.
La più antica birreria veneta fu probabilmente quella di Canale d'Agordo, che, aperta intorno al 1847, causò la conversione di gran parte delle locali colture di patate in colture d'orzo; cessò l'attività negli anni Trenta del '900. Anche la Birreria Pedavena, situata nell'omonimo comune del Bellunese, venne fondata nel 1897 da tre imprenditori agordini, i fratelli Giovanni, Luigi e Sante Luciani di Canale d'Agordo. Negli anni Venti del '900 l'industria venne ricostruita dopo le distruzioni belliche, incrementando gradualmente la produzione della Birra delle Dolomiti, sotto la gestione dei figli dei fondatori. Oltre all'orzo, solo in parte di produzione locale, si tentò anche la coltura del luppolo, con scarso successo. Nel corso degli anni '70, la birreria venne acquisita dall'olandese Heineken e la sua storia industriale prosegue fino ai giorni nostri, nonostante una crisi grave e di difficile soluzione.
A Padova, nel 19° secolo, iniziò a produrre birra la ditta Cappellari (Itala Pilsen), poi confluita nella Moretti di Udine. Nel Vicentino il settore ebbe uno sviluppo temporale breve ma tormentato. Il primo stabilimento fu costruito nel 1868 a Piovene-Rocchette, allo sbocco della Val d'Astico, da Pietro Rossi (parente dell'industriale laniero di Schio, Alessandro Rossi), con due caldaie di bollitura della capacità di circa 6 quintali. Inaugurata il 14 gennaio 1869, la birreria Rossi fu costretta a sospendere la produzione per ragioni fiscali già il 7 marzo dello stesso anno e dichiarata fallita solo 10 anni dopo. Un secondo birrificio, a breve distanza dal primo, fu fondato nel 1876 da Leopoldo Farinon e nel 1881 venduto alla società Francesco Zanella e Co.; la fine della sua produzione avvenne nel 1953. Gran parte dell'orzo veniva però importato dalla Moravia e dalla Baviera (Sperotto, 2005) e solo un piccolo contributo veniva dal prodotto locale.
In tempi più recenti l'orzo è stato presente anche in pianura, a spese del frumento, soprattutto per la sua maturazione precoce che gli permette di essere seguito dal mais o, più spesso in passato, dalla soia in secondo raccolto. Attualmente le varietà coltivate sono sia distiche che polistiche con produzioni indirizzate in prevalenza all'industria mangimistica.

BIBLIOGRAFIA

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