Il broccolo
Figura 1: Nella varietà 'fiolaro' si sviluppano germogli lungo il fusto e all'ascella delle foglie. Le proprietà antitumorali dei germogli freschi sono attualmente oggetto di ricerca.
Brassica oleracea L. convar. botrytis L. cult. italica Pleuck
Fam. Brassicaceae (Cruciferae)
CARATTERI BOTANICI
La famiglia Brassicaceae, meglio nota col nome classico ma non più valido di Cruciferae, comprende diverse migliaia di specie, quasi sempre erbacee o raramente arbustive, diffuse soprattutto nelle regioni a clima temperato o freddo. Il loro habitat è molto spesso rappresentato da ambienti primitivi (sabbie marine, depositi fluviali, macereti, rupi ecc.), popolati da vegetazioni pioniere. Questa ecologia rende molte crucifere preadattate a vivere in ambienti fortemente antropizzati come gli incolti e i coltivi, dove spesso si comportano da infestanti, o ad essere a loro volta coltivate come specie alimentari a ciclo annuale o biennale.
Il genere Brassica L. comprende circa 35 specie distribuite in Europa, Asia e Africa. Alcune vengono consumate come ortaggi, solitamente cotte in modo da limitare l'attività di alcuni composti tossici (principalmente glucosidi) (Sauer, 1993). Oltre alle numerose varietà di B. oleracea, sono localmente coltivati negli orti il cavolo abissino (Brassica carinata A. Braun), il cavolo-rapa (Brassica napus L. subsp. rapifera Metzg.), i cavoli cinesi (Brassica rapa L. subsp. chinensis (L.) Hanelt e subsp. pekinensis (Lour.) Hanelt), indiano (Brassica rapa subsp. dichotoma (Roxb. et Fleming) Hanelt) e giapponese (Brassica rapa subsp. nipposinica (L. H. Bailey) Hanelt).
Altre specie vengono utilizzate per la produzione di semi, che a loro volta possono essere utilizzati per il loro contenuto in grassi come il navone (Brassica napus L.), la colza (Brassica rapa L. subsp. oleifera (DC.) Metzg.) e la colza indiana (Brassica rapa subsp. trilocularis (Roxb.) Hanelt), oppure per la presenza di particolari sostanze aromatiche, come la senape nera (Brassica nigra (L.) W. D. J. Koch) e la senape indiana (Brassica juncea (L.) Czern.), sia infine come foraggio (Ehrardt et al., 2002).
Le moderne cultivar coltivate in Europa vengono fatte risalire alla specie collettiva Brassica oleracea L. che è composta, in realtà, da un gruppo di una ventina e oltre di taxa completamente interfertili la cui area distributiva è compresa tra la costa atlantica dell'Europa (Inghilterra, Golfo di Biscaglia), il bacino del Mediterraneo e le isole Canarie. Molte di queste specie sono endemiche, a volte con un areale veramente molto ristretto. I processi che hanno dato luogo alla radiazione evolutiva del gruppo sono recenti e legati a fenomeni di isolamento riproduttivo imputabile a cause geografiche o ecologiche. Si tratta di piante perenni, cespugliose, sempre diploidi (2n = 18), molte delle quali certamente coinvolte nella genesi dell'una o dell'altra forma coltivata: Brassica oleracea subsp. oleracea (Europa atlantica), B. bourgeaui (Canarie), B. montana (Mediterraneo occidentale), B. rupestris, B. villosa, B. procumbens, B. incana, B. macrocarpa, B. drepanensis, B. suoliei, B. insularis, B. tyrrhena (Italia centromeridionale e insulare), B. hilarionis, B. cretica (Mediterraneo orientale) (Heywood, Zohary, 1995; Pignatti, 1982).
Quasi tutte queste specie vivono nelle fessure delle rupi affacciate sul mare. Per i loro specifici adattamenti, in particolare per la succulenza delle foglie e dei fusti, la concentrazione dei succhi cellulari e la cerosità superficiale delle foglie, ricordano molto da vicino le piante dei deserti.
Si riporta una breve descrizione delle due specie considerate più direttamente coinvolte nella genesi dei moderni cavoli e, rispettivamente, dei broccoli e cavolfiori.
Figura 2: Theodorus Jacobus/Tabernaemontanus (1588) cita questa varietà, nella quale si sviluppano germogli dal fusto e all'ascella delle foglie come nel moderno broccolo 'fiolaro'
Brassica oleracea L. (forma spontanea dell'Europa atlantica). Pianta suffruticosa, alta 1 m o più (fino a 3 m compresa l'infiorescenza), con fusto legnoso alla base per 10-20 cm. Foglie basali lirate, pennatosette e crenate, lunghe fino a 30 cm; foglie cauline semiamplessicauli, intere, lanceolate. Fiori in racemo ricco, con fino a 200-300 fiori nelle piante meglio sviluppate; fiori a 4 petali, gialli, 15-20 mm. Frutto a siliqua lungo 4-8 cm e spesso 2-3 mm, con becco di 1-1,5 cm. Diffusa lungo le coste atlantiche dell'Europa, dai Pirenei alla Normandia e all'Inghilterra meridionale, e nell'Africa settentrionale mediterranea.
Brassica cretica Lam. s. l. Pianta perenne alta fino a 1,5 m. Foglie basali di 10-15 cm, lirate o spatolate, con lobo terminale ampio e arrotondato o strettamente elongato, margine crenato o dentato, glabro con pochi peli ai margini; picciolo lungo non più di 1/3 della lamina. Foglie cauline auricolate alla base. Infiorescenza carnosa, ramificata dalla base. Fiori con petali bianchi o giallo pallidi. Siliqua 3-7(-9) cm × 3-5 mm, lineare, attenuata in un becco di 5-10 mm. Endemismo egeo (Grecia, Creta).
Il gruppo di Brassica oleracea L. comprende numerose varietà coltivate, a loro volta raggruppate in convarietà. Lo schema qui sotto riportato (modificato e ridotto da Pignatti, 1982 e integrato con Erhardt et al., 2002) non tiene conto degli effettivi rapporti genetici tra le singole microspecie del gruppo.
convar. oleracea: fusto allungato, lungo 1-3 m, con base perenne, lignificata, fogliosa. Comprende le varr. oleracea, selvatica, ramosa DC., usata come alimento zootecnico, e gemmifera DC. (cavolini di Bruxelles).
convar. acephala DC.: fusto allungato, lungo 1-3 m, base non lignificata, di solito bienne; foglie riunite all'apice del fusto. Comprende il cavolo nero (var. viridis L., a foglia liscia, e sabellica L., a foglie increspate e sfrangiate), il cavolo-rapa (var. gongyloides L., con fusto ingrossato alla base come una rapa) e i cavoli ornamentali (var. acephala DC.).
convar. capitata L.: fusto breve o subnullo; foglie pressoché a livello del suolo, numerosissime, in maggioranza riunite a formare una testa sferica. Comprende la verza (var. sabauda L.), il cavolo cappuccio (var. capitata (L.) Alef.) e il cavolo portoghese (var. costata DC.).
convar. botrytis L.: Fusto breve o subnullo; foglie pressoché a livello del suolo, poco numerose, avvolgenti lassamente l'infiorescenza che ha rami abbreviati e ingrossati. Comprende il cavolfiore, con rami brevissimi e infiorescenza ridotta a una testa subsferica (var. botrytis L.), i broccoli, con rami più allungati, ma comunque brevi (var. italica Plenck), i broccoli cinesi (var. alboglabra (L. H. Bailey) Musil.
Il termine "broccolo" deriva dal latino brachius = braccio, in relazione alla forma dell'infiorescenza che ha costituito il principale carattere oggetto di selezione.
STORIA
Figura 3: Il Cruijdeboeck dell'olandese Rembert Dodoens/Rembertus Dodonaeus (1544) è probabilmente la prima opera manoscritta in cui compare un cavolfiore.
Partendo da erbe raccolte nei pressi degli insediamenti e utilizzate come verdure, varie specie sono state selezionate in base ai caratteri che apparivano più promettenti, fino a ottenere l'estrema diversità delle attuali cultivar. Il cavolo coltivato deriva probabilmente da tutto il gruppo di specie, variamente selezionate e spesso ibridate. Il numero di varietà coltivate rende del tutto impossibile la ricostruzione del pedigree, impedendo di associare ad ognuna le specie selvatiche dalle quali effettivamente derivano. Una notevole eccezione è costituita proprio dalla convar. botrytis, cui appartengono broccoli e cavolfiori, che presenta notevoli punti di contatto con Brassica cretica tanto da essere considerata derivata da questa specie anziché da B. oleracea (Sauer, 1993; Heywood, Akeroyd, 1993).
L'utilizzazione e la coltura dei cavoli iniziarono in più punti indipendenti del bacino del Mediterraneo e delle coste atlantiche dell'Europa, almeno fin dall'inizio del periodo classico. Un importante centro di selezione fu sicuramente la Gallia, terra d'origine di B. oleracea subsp. oleracea. Per quanto riguarda il broccolo, di cui mancano completamente notizie nelle fonti storiche, le affinità morfologico-genetiche con la specie selvatica B. cretica rendono plausibile un'origine mediterranea-orientale (tra Grecia, Creta e forse Cipro); da qui le forme ancestrali sarebbero state introdotte nella penisola italiana, dove sarebbero state oggetto di particolare attenzione e di selezione varietale.
La selezione delle odierne varietà consistette soprattutto nel fissare alcuni caratteri interpretabili come mostruosità o malformazioni ereditarie: dall'ingrossamento del fusto o dei rami dell'infiorescenza, all'arricciamento o alla bollosità delle foglie, al raccorciamento degli internodi o degli assi dell'infiorescenza, in costante associazione con la riduzione del ciclo vegetativo da perenne a biennale o addirittura annuale (Pignatti, 1982). Nel caso del broccolo, la selezione ha ebbe come risultato la produzione di abnormi infiorescenze verdastre e arboriformi, dotate di assi ingrossati e commestibili, carnosi e con rami relativamente brevi, circondate da un numero relativamente piccolo di foglie strette e carnose.
L'uso dei cavoli, sia selvatici che coltivati, è riportato sia da fonti greche che, con maggiore abbondanza, latine. Sembra comunque che i Greci non li apprezzassero molto come alimento per l'uomo. Le varietà utilizzate erano poche e poco diverse da quelle selvatiche, incapaci di formare addensamenti di foglie all'apice del fusto e scelte soprattutto per la maggior succulenza e il gusto meno amaro (Sauer, 1993).
Figura 4: Il cavolfiore nel Kräuter Buch di Tabernaemontanus (1588).
Anche i Romani conoscevano solo varietà poco differenziate dai tipi selvatici, ma è molto probabile che quelle coltivate in Italia si originassero da popolazioni o addirittura specie diverse rispetto a quelle greche. Un'ampia discussione sulle proprietà alimentari e medicinali di questo apprezzato ortaggio è fornita da Catone il Censore (
De Agricoltura, CLXV), che non esita a definirlo "
la prima di tutte le verdure". Ne descrive tre varietà, tutte simili agli attuali cavoli neri e distinte solo sulla base delle caratteristiche fogliari:
levis, liscia, di grandi dimensioni, con foglie larghe e a costa grossa;
apiacon, a foglia increspata;
lenis, dolce, con foglie tenere e dotate di coste sottili ma dal sapore piuttosto aspro. Esistevano inoltre alcune varietà coltivate per i getti fiorali, per la radice ingrossata come negli attuali cavoli-rapa e, almeno a partire dal 1° secolo d. C., per le foglie addensate lungo il fusto, benché ancora lassamente.
Il broccolo non è mai nominato con questo nome dagli Autori latini, che invece nominano più volte le cime del cavolo. Columella (
De Re Rustica, X: 127-139), ad esempio, le considera adatte "
al volgo non meno che al re sul suo trono" e descrive alcune ricette per la loro conservazione in salamoia (XII, 7: 1, 5; 9: 3). Plinio (
Historia Naturalis, XIX: 137) riporta un gustoso aneddoto nel quale l'imperatore Tiberio rimprovera il figlio Druso riluttante a mangiare le cime di cavolo. Ancora Columella, tra le varietà di cavolo conosciute al suo tempo, cita una
cymosa stirpe coltivata dai "duri Sabelli" (i Sabini), pregiata per la produzione di cime ancor più che di foglie; la var.
sabellica L. è oggi la var. a foglie increspate del cavolo nero.
Nonostante gli elogi, talvolta sperticati, degli Autori latini, i cavoli e in particolare i broccoli vennero a lungo considerati un cibo per i poveri. E' probabilmente questo il motivo per il quale sono scarsissime le notizie che li riguardano, nonostante fossero sicuramente più diffusi in passato che non oggi. Se il cavolo-rapa è nominato per la prima volta nel
Capitulare de Villis del 795, il cavolo cappuccio da S. Hildegarda (XII secolo) e il cavolfiore dal botanico Tabernaemontanus nel 1588 (Pignatti, 1982), non esistono notizie precise circa la genesi del broccolo. Molto probabilmente, però, è in Italia che si originarono le forme moderne. La sua diffusione viene considerata da alcuni contemporanea, da altri leggermente più tardiva rispetto a quella del cavolfiore (McGee, 1989); secondo altri Autori, il broccolo sarebbe invece la forma ancestrale dalla quale deriva il cavolfiore. Basandosi sull'assunto che i caratteri fenotipici comuni a queste due varietà sono il nanismo del fusto e l'ingrossamento dei peduncoli fiorali, entrambi più accentuati nel cavolfiore, essi ipotizzano che quest'ultimo debba essersi sviluppato a partire da forme simili al broccolo.
E' comunque solo dopo il 1600 che le cultivar di
Brassica oleracea s. l. divennero facilmente riconoscibili nella letteratura botanica, agronomica e soprattutto culinaria. Esse comprendevano i cavoli cappucci, le verze, i cavoli-rapa, forse i cavolini di Bruxelles, i cavolfiori e, finalmente, i broccoli. In effetti, le diverse varietà di cavoli dovevano essere molto diffuse negli orti soprattutto delle famiglie contadine. Il loro successo derivava anche da un ottimale inserimento nei normali cicli produttivi di numerose aziende come coltura intercalare, in successione ai cereali autunno-vernini o dopo colture foraggere od orticole, come la patata e la cipolla. I cavoli rappresentavano inoltre, per le famiglie contadine, una integrazione alimentare preziosa, sia per la stagione invernale di maturazione che per la ricchezza in vitamine e oligoelementi. Prime tra le verdure a comparire nell'annuale ciclo alimentare, in certi casi potevano essere proficuamente conservati (crauti) e utilizzati con profitto per prevenire malattie da ipovitaminosi.
La diffusione dei broccoli rimase a lungo limitata all'Italia. Sebbene taluni credano di riconoscerli nella breve descrizione di un trattato di cucina francese del 1560, in Inghilterra essi erano del tutto sconosciuti fino alla prima metà del 18° secolo. Relativamente tardiva fu anche l'introduzione nell'America latina, a seguito del colonialismo spagnolo. Negli Stati Uniti, dove altre forme di cavolo erano già coltivate dal 1540, secondo la tradizione i broccoli vennero importati da Thomas Jefferson nel 1767, ma senza grande successo; la loro coltivazione rimase a lungo limitata a circoli di amatori di orticoltura e il loro consumo divenne significativo solo dopo l'introduzione da parte dei nostri emigrati, in particolare a partire dalla varietà
Verde calabrese. Nel secondo dopoguerra ebbe un forte impulso come cibo "esotico", mantenendo pure il nome italiano (McGee, 1989). Infine, dalla fine del 19° secolo il broccolo venne importato in Estremo Oriente, particolarmente in Cina e Giappone, affiancandosi alle varietà locali.
Attualmente, le varietà di broccolo coltivate in Europa sono circa 150. In Italia, lo si coltiva specialmente in Veneto, Lazio (broccoli romani), Campania e Calabria. Nella nostra regione il broccolo è molto diffuso negli orti familiari, mentre in pieno campo la coltura è localizzata in poche località. I principali fattori limitanti per la coltura da reddito sono costituiti dal terreno, che deve essere ben drenato ma ricco di macro- e micronutrienti, e dal microclima, che deve essere sufficientemente caldo e asciutto, per permettere la maturazione invernale. Queste condizioni pedoclimatiche si ritrovano soprattutto nei primissimi versanti collinari affacciati alla pianura, esposti a Sud e dotati di suoli sciolti, sia calcarei che basaltici. Al contrario, nella prospiciente pianura l'eccessiva umidità del suolo risulta non favorevole al broccolo, rendendolo generalmente più sensibile a patologie, come l'Ernia del cavolo (
Plasmodiophora brassicae), l'Alternaria (
Alternaria brassicola) e la Peronospora (
Peronospora brassicae).
Figura 3: Pier Andrea Mattioli (1544) non dà molto spazio ai cavoli, limitandosi ad indicarne varietà due varietà liscia e crespa, oltre alla cappuccia.
Due importanti zone di produzione commerciale del broccolo nel Veneto sono centrate ai confini occidentale e orientale della provincia di Vicenza, rispettivamente nelle basse colline dei dintorni di Creazzo (Lessini orientali) e nel Bassanese, con varietà locali e ben diversificate, soprattutto per quanto riguarda la stagione di produzione; un altro interessante distretto è localizzato nel Veronese, precisamente nelle piccole alture che circondano Custoza di Sommacampagna, dove il broccolo è spesso coltivato tra i filari delle viti.
Uno dei casi di maggior successo commerciale nel Veneto è probabilmente quello del
Broccolo Fiolàro, la cui produzione nelle "terre bianche" dei colli di Creazzo (VI) è documentata almeno dall'Ottocento ma è verosimilmente precedente. Il prodotto veniva in buona parte venduto nei mercati vicentini e veronesi, garantendo agli operatori una discreta fonte di reddito. A metà Ottocento, la produzione era valutata in circa 150.000 cespi l'anno, a fronte degli appena 30-40.000 odierni (Di Lorenzo, 2001). In seguito, la produzione subì un lungo declino e un periodo di stasi, aggravatosi nel secondo dopoguerra, e l'ortaggio si ritirò nuovamente negli orti familiari. E' solo in questi ultimi anni che la rinnovata richiesta di genuinità e di tipicità dei prodotti agricoli hanno fatto riscoprire queste antiche varietà, che oggi vengono riconosciute come Prodotto Agroalimentare Tradizionale del Veneto in virtù del Decreto Legislativo n.173 del 1998. Gran parte della produzione di broccolo fiolaro è soddisfatta da due sole aziende.
La zona di produzione del broccolo "di Creazzo" comprende i Comuni di Monteviale, Gambugliano, Brendola e Montebello Vicentino e una parte di quelli di Zermeghedo, Gambellara e Montorso, ma le località più classiche si concentrano nelle località di Rivella, Becco d'Oro e Rampa nel territorio di Creazzo. La produzione è basata soprattutto sul broccolo
fiolàro, così chiamato per la presenza di germogli (
fiói, figli) inseriti lungo il fusto e all'ascella delle foglie. La raccolta dei broccoli
fiolari dura da novembre a febbraio, dopo le prime gelate, quando per difendersi dal freddo la pianta riduce la presenza di acqua nei tessuti e aumenta la concentrazione dei succhi cellulari.
Il
Broccolo di Bassano è di piccole dimensioni (40-60 cm), con infiorescenze (localmente indicate come
barète, berretti) di media grandezza (10-15 cm). Viene coltivato nella parte più soleggiata del territorio pedemontano del Bassanese, ai piedi delle colline, all'incirca in coincidenza con la diffusione degli oliveti. La coltivazione, documentata da fonti scritte solo da tempi recenti, è comunque testimoniata oralmente a memoria d'uomo. Esistono alcune varietà che vengono classificate in base alla stagione di raccolta:
bonorìvo, che viene raccolto già a fine ottobre,
meza stajon bonorìva (dicembre-gennaio),
meza stajon tardìva (gennaio-marzo),
tardivo (metà marzo, attorno a S. Giuseppe) e
tardivon (fino a fine maggio).
Nel Veronese la zona di produzione in campo del broccolo è ancora più ristretta. Nei dintorni di Custoza di Sommacampagna, in particolare sulle colline argillose che circondano il paese, si coltiva il
Broccoletto di Custoza, di piccole dimensioni ma localmente molto richiesto. La coltura del broccolo nel Veronese è piuttosto antica, se si dà fede alla tradizione secondo la quale le colture del Garda trentino (Torbole, S. Massenza ecc.) derivano da semente importata dal Veronese a metà del Settecento.
Incidentalmente, va osservato che il broccolo ha avuto una recente riscoperta per le sue proprietà nutraceutiche, che vanno ben oltre rispetto a quelle preconizzate già dagli Autori latini. Secondo i ricercatori della Johns Hopkins University (
www.jhu.edu), il broccolo possiederebbe infatti importanti caratteristiche antimutagene e anticancerogene, grazie all'elevato contenuto di sulforafane, composto solforato concentrato particolarmente nei germogli di tre giorni.
Bibliografia
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www.jhu.edu
www2.regione.veneto.it/videoinf/rurale/prodotti/broccolo.htm
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